Ho avuto occasione negli ultimi anni di vivere anche da dentro e in modo diretto il pianeta scuola
Ebbene, per qualità di strutture, programmi scolastici, organizzazione, mezzi e preparazione degli studenti, trovo che noi in Italia siamo il Terzo Mondo. E sono ottimista.
Abbiamo scuole vecchie, scalcinate, obsolete, mal organizzate. Programmi inadatti, antichi, giurassici. Apparecchiature e laboratori da museo, professori talvolta poco preparati, rassegnati, svogliati, e studenti che affogano in tutto questo e che sono quanto di più civilmente, culturalmente e tecnicamente fragile si possa trovare tra i giovani europei.
Il nostro “pianeta scuola” è asfittico, al collasso, agonizzante, opulento e incapace di reagire, in totale balia degli eventi e oramai totalmente incanalato in un sentiero di autodistruzione.
Siamo a tutti gli effetti il vero fanalino di coda dell’Europa. I nostri studenti regrediscono invece di progredire. E ogni anno è peggio del precedente.
La scuola italiana non è adatta ad accogliere il futuro, caratteristica peculiare di chi deve formare la prossima generazione sociale, lavorativa, politica, dirigenziale. Un pantano dal quale non usciremo con il solito “colpo di spugna all’italiana”. Questa volta no, non basterà.
C’è bisogno di un’attenta analisi e di una forte dose di autocritica, con il coraggio di idee e programmi che strutturino il presente, solidifichino l’immediato futuro e lascino la possibilità di una visione flessibile per costruire l’avvenire di questa nazione.
Ho avuto occasione di vedere come si studia all’estero e di averne riscontri nei colloqui per le nuove assunzioni nell’azienda per la quale lavoro: devo tristemente constatare che i nostri studenti sono di gran lunga i meno preparati che mi trovo a valutare.
Ma non solo: sono quelli con meno stimoli, senza senso critico, con meno senso civico, meno “freschezza” di idee, meno disposti al sacrificio e ad aprirsi ad una visione a 360°.
Sembrano anestetizzati:una marmaglia scomposta, disordinata e disorganizzata di cloni, infantili ed illusi, senza principi etici e morali. Totalmente non autonomi anche nelle scelte e nelle decisioni più banali e semplici. Tutto gli deve essere impartito ed imposto dall’esterno, da una guida. La vera ed unica “generazione dei calciatori e delle veline”, convinta che si possa guadagnare 5.000 euro al mese con una telefonata, o disposta a credere con assoluta semplicità che la luna non esiste.
Tutto questo avviene purtroppo senza che appaia essercene una reale percezione. Vige ancora la convinzione che con “un paio di abili mosse qua e là” sarà facilissimo riorganizzarsi e ripartire a veleggiare come tutti gli altri paesi e con tutti gli altri paesi. Ma non ci rendiamo ancora conto che invece coliamo a picco e non sarà assolutamente facile risollevarsi. Comunque non in breve tempo. Questo è palese, chiaro, limpido e lampante come il sorgere del sole al mattino.
Non siamo capaci di programmazione e di flessibilità. Programmazione, perché per strutturare tutto questo c’è bisogno di tempo, di idee e di continuità. Flessibilità, per prepararsi e modellarsi a un futuro che diviene sempre più mutevole, e in intervalli di tempo sempre più brevi e concentrati. Gli studenti sembrano quasi incentivati a non studiare, con programmi di recupero blandi, banali, indolori, ridicoli e ridicolizzati, che permettono a chiunque - con uno sforzo prossimo o equivalente allo zero - di passare da un anno all’altro trascinandosi delle lacune talmente vaste nella preparazione che difficilmente in futuro potranno essere arginabili e/o recuperabili.
Non ci sono regole, non c’è rispetto per lo studente e per la scuola, e ciò che è più preoccupante è che non ci sono sanzioni e/o azioni correttive per invertire rotta e tendenza.
Tutto questo genera generazioni di somari, talmente impreparati da non saper sostenere il più banale colloquio di lavoro, aridi di idee, anche nel racconto delle proprie priorità, aspettative o attività svolte. Completamente scavalcati dalla preparazione degli studenti stranieri.
Sì, perfetto, noi Italiani abbiamo quell’estro, quella marcia in più che gli altri non hanno. Ma oramai neanche questo basta più, o comunque non basta da solo se non è appoggiato da una solida preparazione scolastica.
Sull’argomento “personale scolastico” preferisco sorvolare: oramai non c’è niente di più indolente ed irritante del personale pubblico. Se rapporto la sua qualità nel lavoro all’azienda in cui opero, penso che sarei licenziato nel giro di pochi giorni: non settimane, ma giorni.
In tutto questo bailamme ci vuole sicuramente un faro guida perché non è possibile vivere con le sole iniziative dei singoli. Ci vuole una “road map” che arrivi dall’alto, con una visione d’insieme dei programmi e dei processi. Anche se può sembrare banale è comunque terribilmente reale. E sarebbe un errore quello di nascondersi dietro a un dito. Ci vogliono sinergie d’intenti e lavoro di team. Unica e sola ricetta per poter garantire un futuro ai nostri giovani e quindi evidentemente a tutta la nazione.
Lo stesso intento deve essere perseguito in egual misura da tutti: istituzioni, presidi, insegnanti, personale non docente e, non ultimi, studenti e genitori. Tutti devono capire di aver in qualche misura sbagliato, ed evitare di scagliarsi gli uni contro gli altri o di sbriciolare - in un esercizio polemico non costruttivo - l’operato altrui.
Niente ostracismi, quindi, ma un percorso di piena condivisione di intenti e di idee. Nuove regole, per una volta, che possano incanalare le energie di tutti nella giusta direzione. Regole per una volta concrete, realmente applicabili e che non creino solo un’ondata di malcontento generale e scioperi a ripetizione. Lo Stato deve capire che non può più lucrare sulla Scuola, o rimarrà senza classe lavorativa e dirigenziale da qui a breve. Questo periodo di “mappatura” delle richieste deve partire dal basso, da chi la scuola la vive quotidianamente, perché c’è bisogno di ascoltare i bisogni reali e di fare “lesson learned” degli errori passati. Da lì in poi, tavole rotonde (rispettivamente per elementari, medie, superiori e università) in cui condividere tutto questo: dapprima nei singoli istituti; poi, attraverso rappresentanti, a livello di città, Provincia e Regione.
Infine, per settore, nelle classiche tre fasce in cui è suddivisa l’Italia, fino ad arrivare ad una tavola rotonda nazionale in cui siedano tutte le istituzioni formative. I rappresentanti dovrebbero essere scelti tra studenti, genitori e insegnanti, uno per categoria. Obiettivo, una condivisione finale degli intenti, perché non è più possibile andare avanti per “compartimenti stagni”, perché ci deve essere continuità nel passaggio da un grado all’altro del sistema. Una progressione autentica, con uno sharing totale delle idee e una predisposizione seria delle istituzioni all’attività di “problem solving”, sia in termini di tempo che economici: in una sola parola, una disponibilità vera, reale, concreta e non politica e di facciata.
Un lavoro vasto, ma possibilissimo. Perché oramai non possiamo più affidarci alle sole eccezioni di alcuni singoli istituti. Alla lungimiranza e al sacrificio di presidi, professori e famiglie. Che sono SOLO ECCEZIONI e non la normalità.
Filippo IODICE
Lean Black Belt (garante dell’efficienza dei processi)
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