Copertina
martedì 8 dicembre 2009
sabato 5 dicembre 2009
Se i libri fossero...
Se i libri fossero…
Se i libri fossero di torrone,
ne leggerei uno a colazione.
Se un libro fosse fatto di prosciutto,
a mezzogiorno lo leggerei tutto.
Se i libri fossero di marmellata,
a merenda darei una ripassata.
Se i libri fossero frutta candita,
li sfoglierei leccandomi le dita.
Se un libro fosse di burro e panna,
lo leggerei prima della nanna.
R. Piumini
venerdì 27 novembre 2009
I molteplici volti di Gianfranco Draghi
E’ vario, raffinato e molto suggestivo il mondo di Gianfranco Draghi: dipinti, sculture, tessuti, burattini e altro ancora disegnano “I volti della creatività”, nella imponente mostra antologica che il Comune di Fiesole, in occasione della Festa della Toscana, dedica al grande artista e che inaugura domenica 29 novembre, nella Sala Antiquarium Costantini, in via Portigiani, e nel Museo Archeologico, alle 17, alla presenza del Sindaco e degli assessori Maria Luisa Moretti e Paolo Becattini.
“Gianfranco Draghi - scrive nella prefazione del catalogo Stefano De Rosa- è pittore, inventore di forme spaziali per arazzi, disegnatore, fecondo scrittore con radicate vocazioni didattiche, poeta, psicoterapeuta”.
Infatti, l’artista, nel suo tempo, pare avere assorbito diverse vite. E’ stato docente, amico di scrittori, testimone di avvenimenti, sensibile alla politica nei suoi significati più nobili, lontano dalle meschinità e dalle ambizioni personali e dotato, al contrario, di una prospettiva animata dal sincero proposito di contribuire al bene collettivo con quello slancio morale che fu degli illuministi e degli azionisti. Ha percorso spesso sentieri non battuti dalla ricerca artistica contemporanea. Più che guardare all’arte come ad un brioso viaggio performativo, ha indagato sul modo in cui un’ opera viene letta, interpretata e fatta propria dal pubblico. Ha inoltre ripreso il rapporto con le tradizioni, dalle quali ha attinto stimoli ed insegnamenti.
Nella mostra, i burattini sono collocati in una sorta di dialogo con i ritratti probabilmente il genere pittorico nel quale l’estro di Draghi trova le sue espressioni maggiori. Nei ritratti, specialmente in quelli di donna, l’artista s’inoltra in un universo misterioso, carico di fascino e suscitatore di memorie.
“La sua arte, in tutte le sue manifestazioni, vive di slittamenti, di allusioni, di nostalgie - commenta sempre De Rosa - Si presenta come un organismo vivente, nel quale il tempo interrompe e riprende il proprio corso, senza soluzione di continuità.
L’omaggio che il Comune di Fiesole gli tributa, giunge quanto mai appropriato. Le sue opere si prestano senza difficoltà ad un confronto con l’antichità, ma non sfuggono ad un’osservazione che faccia leva sui loro equilibri formali o su alcuni dettagli tecnici che sfociano in mondi di elevato e raffinato artigianato”.
La mostra resterà aperta fino al 20 dicembre. Orario: 10-16; chiuso il martedì e il mercoledì.
Gianfranco Draghi è nato il 1 luglio del 1924 a Bologna dove ha vissuto fino ai primi anni dell'infanzia, in seguito ha fatto i suoi studi elementari e liceali a Milano. Essendo stato militante nel Partito d’Azione si è rifugiato in Svizzera nel settembre del 1943. Ha compiuto gli studi universitari a Firenze laureandosi con Garin con una tesi su Leon Battista Alberti pubblicata in parte sulla rivista "Studi urbinati" Carlo Bo, e nell'altra parte sulla rivista "Letteratura moderna" di Francesco Flora e che a breve sarà ristampata integralmente dalle Edizioni del Raccolto.
E' stato assistente di estetica di Gaetano Chiavacci presso la facoltà di Filosofia dell’Università di Firenze e collaboratore di Altiero Spinelli nel Movimento Federalista Europeo, alla fine degli anni quaranta, inizio cinquanta.
Nel 1958 è stato allievo dello psicoterapeuta junghiano Ernst Bernhard diventando a sua volta psicoterapeuta a Firenze e uno dei primi presidenti della neonata Associazione Italiana di Psicologia Analitica.
Negli anni settanta contemporaneamente al lavoro di psicanalisi, incentrato soprattutto sui sogni, si dedica intensamente all'arte in tutte le sue forme: scrittura, pittura, scultura e teatro-musicale.
Ora vive a Fiesole da sei anni, segue le sue varie passioni artistiche, coltiva le sue amicizie, e tra le altre cose si dedica alla scrittura di una sua autobiografia non tralasciando la sempre amata poesia. Infatti è di pochi mesi fa l'uscita del libro di poesie "L'allocco e altre cose familiari" edizioni Ponte del Sale di Rovigo che verrà presentato a Fiesole il 5 dicembre, sempre in occasione della Festa della Toscana.
venerdì 16 ottobre 2009
Oceano Mare
Se uno fosse davvero capace, gli basterebbero poche parole…
Magari inizierebbe da tante pagine ma poi, a poco a poco,
troverebbe le parole giuste, quelle che dicono in una volta sola tutte le altre,
e da mille pagine arriverebbe a cento, e poi a dieci, e poi le lascerebbe lì, ad aspettare, finché le parole di troppo scivolerebbero via dai fogli, e allora ci sarebbero solo da raccogliere quelle che restano, e stringerle in poche parole, dieci, cinque, così poche che a furia di guardarle da vicino, e di ascoltarle, alla fine te ne resta in mano una, una sola. E se la dici, dici il mare
Alessandro Baricco, Oceano Mare
mercoledì 30 settembre 2009
DEDICATA A MARTINA
Ritratto della mia bambina
La mia bambina con la palla in mano
con gli occhi grandi color del cielo
e dell’estiva vesticciola: “Babbo
- mi disse- voglio uscire oggi con te”.
Ed io pensavo: di tante parvenze
che s’ammirano al mondo, io ben so a quali
posso la mia bambina assomigliare.
Certo alla schiuma, alla marina schiuma
che sull’onde biancheggia, a quella scia
ch’esce azzurra dai tetti e che il vento sperde;
anche alle nubi, insensibili nubi
che si fanno e disfanno in chiaro cielo;
ed ad altre cose leggere e vaganti.
Umberto Saba, La malinconia amorosa
martedì 19 maggio 2009
Evviva la libertà
Voi, figli dei figli
gridate con disprezzo
con rabbia, con odio
evviva la libertà.
Perciò non gridate
evviva la libertà.
Se non si grida evviva la libertà
umilmente
non si grida evviva la libertà
Se non si grida evviva la libertà
ridendo
non si grida evviva la libertà
Se non si grida evviva la libertà
con amore
non si grida evviva la libertà
Pier Paolo Pasolini
sabato 25 aprile 2009
Quand’ero piccola
Quand’ero piccola io so che
piangevo
Ogni volta che il sole era
al tramonto
Non volevo lasciarlo andar via
non ero sicura che sarebbe tornato
Così piangevo, per farlo restare
Con la mano sulla porta del mondo
sul bordo del monte sull’orlo
del mare lui mi guardava
e spariva. Ma
che sarebbe tornato lui lo sapeva. Per me
ci sono voluti mille tramonti mille e poi
ancora uno, due, forse più di sei
Da “E sulle case il cielo” di Giusi Quarenghi
sabato 18 aprile 2009
Una storia a fumetti
La storia a fumetti si chiama Il Maestro. Pubblica Tunuè, “editore dell’immaginario”. I disegni sono di Davide Pascutti, il soggetto e la sceneggiatura di Andrea Laprovitera, due trentenni nati in provincia, il primo a Udine, l’altro a Orvieto.
Anche la storia è ambientata in provincia. Siamo nella seconda guerra mondiale, in un paese, dentro l’aula di una scuola. C’è un maestro, ci sono i suoi alunni bambini. I libri e le bombe. Il maestro con gli occhiali tondi parla di poesia, “non mandare mai a chiedere per chi suona la campana. Suona per te”. Gli aerei sganciano bombe sulla chiesa, sulla biblioteca: forse, pensa l’uomo, hanno sbagliato bersaglio. Tutti scappano, partono e muoiono, alcuni tornano per partire ancora, riprovano a morire. Lui resta. “A volte noi grandi facciamo cose strane, come la guerra o come restare quando tutti vanno perché resistere è l’unica cosa che ci è rimasta”. Resistere è una cosa strana, sì. I bambini lo guardano e non capiscono, l’ultimo a lasciare l’aula piange. Resistere è incomprensibile (in quel momento, in quel modo) eppure è il vero insegnamento del maestro: restare nonostante tutto, non voltarsi, non fuggire. Un piccolo punto di vista sulla storia, eppure così grande. Basta un tratto di matita, una parola.
Dalla rubrica “Invece Concita” di Concita De Gregorio
La Repubblica delle Donne, 19 luglio 2008
lunedì 6 aprile 2009
COMUNICATO STAMPA
COMUNICATO STAMPA
Studenti di Sinistra
Università degli Studi di Firenze
Abbiamo appreso da poco l'entità del sisma, che, questa notte, attorno
alle 3:30, ha sconvolto i tratti del Centro Italia. I dati più
sconcertanti arrivano dall'Abruzzo: migliaia di edifici distrutti,
ospedali, chiese e palazzi in macerie. Ma la notizia più dura e fredda
viene dal capoluogo abbruzzese, viene da piazza Pasquale Paoli: la
palazzina che ospita la Casa dello Studente, un edificio di tre piani,
è parzialmente crollata; tutta un'ala della casa si è accasciata al
suolo mentre un'altra parte è gravemente lesionata. Ci sono studenti,
studenti come noi, sotto le macerie: sette, dieci ... un numero
imprecisato, alcuni ancora in vita, lo speriamo, altri purtroppo no.
Come Studenti di Sinistra esprimiamo la nostra più sentita vicinanza
alle famiglie abruzzesi e soprattutto a tutti gli studenti, atterriti
da questo pesante disastro naturale. Vorremmo arrivasse forte il
nostro sentito abbraccio e il nostro supporto a chi, come noi, vive e
studia, spesso in strutture fatiscenti, spesso in luoghi inagibili. Al
contempo, vorremmo arrivasse, alle famiglie delle vittime, il nostro
più accorato cordoglio.
Come spesso succede in Italia, solo dopo le tragedie, i palazzi del
potere aprono gli occhi. Come Studenti di Sinistra non possiamo non
condannare, ancora una volta, la forte disattenzione della politica
nell'assicurare, agli studenti, un reale diritto allo studio,
strutture confortevoli e moderne che sappiano supportarci nel percorso
di studi. Invece, e la lunga mobilitazione contro la Legge 133
dell'Autunno scorso ne è la chiara dimostrazione, l'attuale Governo ha
preferito tagliare drasticamente i finanziamenti per gli Atenei e per
il supporto al Diritto allo Studio. Ed ecco a cosa bisogna assistere.
Lo "stato d'emergenza", per noi studenti, doveva essere firmato molto
tempo fa.
Studenti di Sinistra
www.studentidisinistra.org
Studenti di Sinistra
Università degli Studi di Firenze
Abbiamo appreso da poco l'entità del sisma, che, questa notte, attorno
alle 3:30, ha sconvolto i tratti del Centro Italia. I dati più
sconcertanti arrivano dall'Abruzzo: migliaia di edifici distrutti,
ospedali, chiese e palazzi in macerie. Ma la notizia più dura e fredda
viene dal capoluogo abbruzzese, viene da piazza Pasquale Paoli: la
palazzina che ospita la Casa dello Studente, un edificio di tre piani,
è parzialmente crollata; tutta un'ala della casa si è accasciata al
suolo mentre un'altra parte è gravemente lesionata. Ci sono studenti,
studenti come noi, sotto le macerie: sette, dieci ... un numero
imprecisato, alcuni ancora in vita, lo speriamo, altri purtroppo no.
Come Studenti di Sinistra esprimiamo la nostra più sentita vicinanza
alle famiglie abruzzesi e soprattutto a tutti gli studenti, atterriti
da questo pesante disastro naturale. Vorremmo arrivasse forte il
nostro sentito abbraccio e il nostro supporto a chi, come noi, vive e
studia, spesso in strutture fatiscenti, spesso in luoghi inagibili. Al
contempo, vorremmo arrivasse, alle famiglie delle vittime, il nostro
più accorato cordoglio.
Come spesso succede in Italia, solo dopo le tragedie, i palazzi del
potere aprono gli occhi. Come Studenti di Sinistra non possiamo non
condannare, ancora una volta, la forte disattenzione della politica
nell'assicurare, agli studenti, un reale diritto allo studio,
strutture confortevoli e moderne che sappiano supportarci nel percorso
di studi. Invece, e la lunga mobilitazione contro la Legge 133
dell'Autunno scorso ne è la chiara dimostrazione, l'attuale Governo ha
preferito tagliare drasticamente i finanziamenti per gli Atenei e per
il supporto al Diritto allo Studio. Ed ecco a cosa bisogna assistere.
Lo "stato d'emergenza", per noi studenti, doveva essere firmato molto
tempo fa.
Studenti di Sinistra
www.studentidisinistra.org
giovedì 2 aprile 2009
Se penso
Ho portato il grembiule per i miei tredici anni di scuola, quando serviva a proteggere i vestiti, non a nascondere le diverse estrazioni sociali, che restavano bene in evidenza in tutto il resto, dalle scarpe alle cartelle, alle merende.
Quello che uniformava noi alunni non era l’uniforme, era l’insegnante, che sembrava non sapere niente delle nostre famiglie ma, se vedeva il figlio di un ricco borghese fare l’arrogante o lo spezzante con il figlio dell’operaio, provvedeva a interrogarli entrambi e a dimostrare a tutti che, almeno per quel giorno, il primo valeva meno del secondo.
Per me sono solo gli insegnanti che contano, quando sanno insegnare a pensare.
Io li pagherei più di un amministratore delegato.
Di Patrizia Valduga
Da “La Repubblica”, 15 novembre 2008
sabato 21 marzo 2009
Prendete un libro
Prendete un libro. Fatto? No, non l’avete preso. Non l’avete preso tutto: un libro è qualcosa che vi sfugge e vi supera di continuo, tanto è esteso nello spazio e nel tempo.
Nello spazio perché i libri attraversano il mondo più velocemente di noi e dei nostri pensieri. Nel tempo perché la giostra degli anni ha per loro una antica e ben nota clemenza. E’ il caso dell’Haggadah di Sarajevo, un piccolo ma importantissimo volume della tradizione ebraica che narra l’esodo dall’Egitto e che nasconde nelle pieghe della sua rilegatura seicento anni di storia.
Nasce in Spagna nel XIV secolo, ed è il frutto incandescente di una ribellione al dettato biblico che impone agli ebrei di non raffigurare la divinità attraverso le immagini.
Nel caso dell’Haggadah le immagini servono a facilitare l’uso conviviale e familiare, il passaggio tra le generazioni. E a salvare il libro stesso, affidandogli un carico di sconvolgente bellezza in grado di commuovere i peggiori inquisitori.
Che differenza c’è tra le persone di carne e quelle persone di carta che sono i libri? Prendete l’Haggadah: è un libro vivo e pulsante, un superstite delle peggiori tragedie. Fu salvato dall’odio nazista nel 1941 e poi, mezzo secolo dopo, dalle bombe dei serbi su Sarajevo. In quella città martoriata, gli angeli custodi del libro sono due bibliotecari musulmani, e questo la dice lunga sul valore interculturale e invincibilmente umano di tutti i libri, di tutti i colori e lingue del mondo.
I libri sono posti dove le persone si incontrano e si confrontano, luoghi immateriali fatti di parole e scie di parole che attraversano il pianeta senza fermarsi.
In ogni generazione può trovarsi qualcuno che ha il coraggio di opporsi alla propaganda e dire che ciò che ci unisce è più grande e più importante di ciò che ci divide. Prendete un libro. Non ci riuscirete, non potete davvero prendere un libro: nessun abbraccio umano è tanto grande. Però potete provarci. Potete provarci sussurrando a voi stessi che è una cosa che vale la pena di fare, che è qualcosa che fa bene. Potete, anzi dovete provare a prendere un libro. Perché in fondo, tentandoci, potreste ritrovarvi in mano il mondo.
Di Geraldine Brooks Da “La Repubblica Inserto Donne”- 25 ottobre 2008
(Scrittrice e giornalista australiana. Premio Pulitzer nel 2006.
Ha di recente pubblicato “I custodi del libro” (Neri Pozza)
Poesia vita
giovedì 12 marzo 2009
La cavallina razzista
Qualche tempo fa avevo una cavallina maremmana, un paio di anni di età, che secondo me era razzista. Se vedeva un cavallo di razza maremmana stava lì bella tranquilla, se vedeva un cavallo di altra razza cominciava a scalpitare e a scalciare, diventava cattiva. In particolare non sopportava i cavalli di razza inglese. Col tempo riuscimmo però, senza minacce o altro, a farle capire che gli altri cavalli erano tutti uguali, ci sono quelli buoni e quelli non buoni dovunque. Mio padre comprò un cavallo spagnolo con il quale alla fine la cavallina si accoppiò.
Vorrei sapere se ai nostri ragazzi, a tutti i nostri ragazzi, qualcuno ha mai parlato, piano piano e giorno per giorno, del problema razziale e soprattutto del fatto che gli esseri umani, anche gli altri, sono tutti uguali, sono buoni, cattivi e così così. Io credo che a molti ragazzi questo fatto elementare non sia mai stato detto, né dalla scuola né dalle famiglie. Certo, se questo fosse avvenuto, i giornalisti, i politici e la Lega avrebbero meno lavoro. Però si vivrebbe meglio. Se si possono addestrare i cavalli, si potranno educare anche le persone.
Ermanno Detti - Dalla rubrica ‘Mercurio’ della rivista mensile ‘Articolo 33’ di Edizioni Conoscenza
mercoledì 11 marzo 2009
La torta della felicità
Ora vi insegno la ricetta
per una torta davvero perfetta.
Prima cosa mescolate
un bel chilo di risate,
un bicchiere di canzoni
e una tazza di emozioni,
tre cucchiai di carezze
e una punta di tenerezze.
Quando tutto è amalgamato,
con dolcezza va scaldato,
spolverato di risate
e gustato con chi amate
Corinne Albaut
martedì 10 marzo 2009
EVA
Sono stufa
di vedere Eva
che morde la mela
sotto lo sguardo del serpente.
Eva che quadro
dopo quadro
viene ricacciata
dal paradiso.
Vorrei vederla
seduta sul ramo
più alto del melo
con le gambe
penzoloni.
Vorrei vederla
sorridere
mentre prepara
una torta di mele
o ancora mentre
cantando pianta
i semi
Barbara Pumhösel (Da Prugni- Cosmo Iannone Editore)
lunedì 2 marzo 2009
Lo straniero
“A chi vuoi più bene, uomo misterioso: a tuo padre, alla madre, alla sorella o al fratello?”
“Non ho padre, né madre, né sorella, né fratello”.
“Ai tuoi amici?”
“Voi usate una parola di cui fino ad oggi mi è rimasto ignoto il senso”.
“Alla patria?”
“Non so sotto quale latitudine si trovi”.
“Alla bellezza?”
“Mi piacerebbe amarla, dea immortale”.
“All’oro?”
“Lo odio quanto voi odiate Dio”.
“Ma allora cosa ti piace, straniero stranissimo?”
“Mi piacciono le nuvole, le nuvole che passano, laggiù, laggiù, le nuvole meravigliose”.
Charles Baudelaire
mercoledì 25 febbraio 2009
mercoledì 11 febbraio 2009
La lettera
Anche stamattina
il postino non si è fermato.
La tua lettera non è arrivata.
Poi, però, dal fruttivendolo
ho visto un’arancia
che nonostante la sua natura tonda
aveva un’aria- in qualche modo
rettangolare.
Girandola ho visto il francobollo
fermo sulla buccia.
“Me ne dia un chilo”- ho detto-
“e mi ci metta anche questa!”
Mentre continuo
a fare la spesa sorrido
in attesa del momento in cui
piano e attenta
per non danneggiare il contenuto
(e nemmeno il francobollo)
sbuccerò la lettera.
Barbara Pumhösel- Da “Prugni” (Cosmo Iannone Editore)
il postino non si è fermato.
La tua lettera non è arrivata.
Poi, però, dal fruttivendolo
ho visto un’arancia
che nonostante la sua natura tonda
aveva un’aria- in qualche modo
rettangolare.
Girandola ho visto il francobollo
fermo sulla buccia.
“Me ne dia un chilo”- ho detto-
“e mi ci metta anche questa!”
Mentre continuo
a fare la spesa sorrido
in attesa del momento in cui
piano e attenta
per non danneggiare il contenuto
(e nemmeno il francobollo)
sbuccerò la lettera.
Barbara Pumhösel- Da “Prugni” (Cosmo Iannone Editore)
martedì 10 febbraio 2009
Scoperta (cliché)
i poeti i sacerdoti i medici chiamano
cuore quel muscolo superstar parola
trita e dolente nome di un maltrattato
motore che ora anch’io ho localizzato
perché coincide con l’ipocentro
del mio personale terremoto in cui forze
forse naturali o forse no si propagano
fino alla pelle frontiera confine
del corpo barriera per le parole
non dette e io sempre temo
per quelle che vanno oltre
Barbara Pumhösel
Da “Prugni” (Cosmo Iannone Editore)
giovedì 29 gennaio 2009
Sette regole d’oro per educare i bambini
“Sono un bambino, dal momento che la vita comincia a ottant’anni...”.
Giovanni Bollea, l’innovatore della neuropsichiatria infantile italiana, classe 1913, avrebbe dunque undici anni, l’età giusta per capire cosa vuol dire essere sotto pressione. Vediamo i suoi consigli.
1 Dategli meno. Hanno troppo, non c’è dubbio. Il consumismo fa scomparire
il desiderio e apre le porte alla noia.
2 Quella che conta è l’intensità, non la quantità di tempo passato con i bambini.
I primi venti minuti del rientro a casa dal lavoro sono fondamentali. Devono essere dedicati al colloquio e alle coccole. E non certo a chiedere dei compiti o dei risultati.
3 I giochi più educativi sono quelli che passano attraverso la fantasia della madre e le mani del padre: bastano due pezzi di legno, ma i genitori ormai non sanno più inventare.
4 Dai tre ai cinque anni è bene avviare i bimbi ai lavoretti a casa, assieme ai genitori. È utile che sappiano stirare con un piccolo ferro o attaccare un bottone.
5 Sport. Prima di tutto deve essere lui a desiderarlo. Meglio se lo fa in gruppo, facendo capire che agonismo significa emergere con fatica e non diventare campioni. Ottime due o tre ore di palestra alla settimana. Poca competizione, grande beneficio fisico.
6 Va incoraggiata la cultura artistica abituandoli al bello. Teatro, musica, arti visive creano il desiderio di migliorare. I soldi spesi per la cultura sono quelli che rendono di più.
7 Ultimo suggerimento: ho una mia teoria e forse mi prenderanno in giro. La chiamo: la donna a tre quarti del tempo. Le donne che lavorano, la maggioranza, a fine giornata pensano già ai figli, alla spesa, agli impegni di casa e rendono poco. Non sarebbe meglio lasciarle uscire mezz’ora prima? I figli, tornando da scuola, le avrebbero a casa meno stressate e più disponibili. Più che di corsi, è di questo che i bimbi hanno bisogno.
Giovanni Bollea, neuropsichiatria infantile
mercoledì 21 gennaio 2009
La guerra di Piero
Dormi sepolto in un campo di grano
Non è la rosa, non è il tulipano
Che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
Ma sono mille papaveri rossi.
«Lungo le sponde del mio torrente
Voglio che scendano i lucci argentati,
Non più i cadaveri dei soldati
Portati in braccio dalla corrente».
Così dicevi ed era d'inverno
E come gli altri verso l'inferno
Te ne vai triste come chi deve;
Il vento ti sputa in faccia la neve.
Fermati Piero, fermati adesso,
lascia che il vento ti passi un po' addosso,
Dei morti in battaglia ti porti la voce:
"Chi diede la vita ebbe in cambio una croce".
Ma tu non la udisti e il tempo passava
Con le stagioni, a passo di giava,
Ed arrivasti a passar la frontiera
In un bel giorno di primavera.
E mentre marciavi con l'animo in spalla
Vedesti un uomo in fondo alla valle
Che aveva il tuo stesso identico umore
Ma la divisa di un altro colore.
Sparagli Piero, sparagli ora,
E dopo un colpo sparagli ancora,
Fino a che tu non lo vedrai esangue
Cadere a terra a coprire il suo sangue.
«E se gli sparo in fronte o nel cuore,
Soltanto il tempo avrà per morire,
Ma il tempo a me resterà per vedere,
Vedere gli occhi di un uomo che muore».
E mentre gli usi questa premura,
Quello si volta, ti vede, ha paura
Ed imbracciata l'artiglieria
Non ti ricambia la cortesia.
Cadesti a terra senza un lamento
E ti accorgesti in un solo momento
Che la tua vita finiva quel giorno
E non ci sarebbe stato ritorno.
«Ninetta mia, a crepare di maggio
Ci vuole tanto, troppo coraggio,
Ninetta bella, dritto all'inferno
Avrei preferito andarci d'inverno».
E mentre il grano ti stava a sentire
Dentro alle mani stringevi il fucile,
Dentro alla bocca stringevi parole
Troppo gelate per sciogliersi al sole.
Dormi sepolto in campo di grano
Non è la rosa, non è il tulipano
Che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
Ma sono mille papaveri rossi.
Di Fabrizio De André
sabato 17 gennaio 2009
Poesia contro la guerra
Generale il tuo carro armato è una macchina potente
Spiana un bosco e sfracella cento uomini.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un carrista.
Generale, il tuo bombardiere è potente.
Vola più rapido d'una tempesta e porta più di un elefante.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un meccanico.
Generale, l'uomo fa di tutto.
Può volare e può uccidere.
Ma ha un difetto:
può pensare.
(Bertolt Brecht)
La guerra nella striscia di Gaza dura da 21 giorni,
ha provocato 1141 morti, più di 5000 feriti
più del 50% dei morti e dei feriti sono bambini, donne, anziani,
più di 35.000 i palestinesi rimasti senza casa
Quanti bambini, quante donne, quanti innocenti dovranno essere ancora uccisi
prima che qualcuno decida di intervenire e di fermare questo massacro?
venerdì 16 gennaio 2009
Stato d’assedio di Mahmoud Darwish
Qui, fra spirali di fumo, sui gradini di casa,
Non c’è tempo per il tempo.
Come chi s’innalza verso Dio,
Dimentichiamo il dolore.
Nulla qui riecheggia Omero.
I miti bussano alla nostra porta, se vogliono.
Nulla riecheggia Omero. Qui, un generale
Scava alla ricerca di uno stato addormentato
Sotto le rovine di una Troia che verrà.
Voi, ritti in piedi sulla soglia, entrate,
Bevete con noi il caffè arabo.
Sentirete che siete uomini come noi.
Voi, ritti in piedi sulla soglia delle case,
Uscite dalla nostra alba.
Ci sentiremo sicuri di essere
Uomini come voi!
Quando gli aerei scompaiono, spiccano il volo le colombe
Bianchissime, lavano la gota del cielo
Con ali libere, riprendono il bagliore e il possesso
Dell’etere e del gioco. In alto, ancora più in alto volano via
Le colombe bianchissime. Ah, se il cielo
Fosse vero… (mi ha detto un uomo correndo fra due bombe).
I cipressi, dietro i soldati, minareti che s’innalzano
Per non far crollare il cielo. Dietro la siepe di ferro
Pisciano i soldati - al riparo di un tank -
E la giornata autunnale conclude la sua traiettoria dorata
In una strada vasta come una chiesa dopo la messa domenicale…
(A un assassino) Se avessi contemplato il volto della vittima
E riflettuto, ti saresti ricordato di tua madre nella camera
A gas, avresti buttato via le ragioni del fucile
E avresti cambiato idea: non è così che si ritrova un’identità.
L’assedio è attesa,
Attesa su una scala inclinata
Dove più infuria l’uragano.
Soli, siamo soli a bere l’amaro calice,
Se non fosse per le visite dell’arcobaleno.
Abbiamo dei fratelli dietro quella spianata,
Fratelli buoni, che ci amano. Ci guardano e piangono.
Poi si dicono in segreto:
"Ah! Se quest’assedio venisse dichiarato…"
Lasciano la frase incompiuta:
"Non lasciateci soli, non abbandonateci".
Le nostre perdite: da due a otto martiri, giorno dopo giorno.
E dieci feriti.
E venti case.
E cinquanta ulivi…
Aggiungeteci la perdita intrinseca
Che sarà il poema, l’opera teatrale, la tela incompiuta.
Una donna ha detto alla nube: copri il mio amato
Perché ho le vesti grondanti del suo sangue.
Se non sei pioggia, amor mio
Sii albero
Colmo di fertilità, sii albero
Se non sei albero, amor mio
Sii pietra
Satura d’umidità, sii pietra
Se non sei pietra, amor mio
Sii luna
Nel sogno dell’amata, sii luna
(Così una donna che dava sepoltura al figlio)
O ronde della notte! Non siete stanche
Di spiare la luce nel nostro sale
E l’incandescenza della rosa nella nostra ferita,
Non siete stanche, ronde della notte?
Un lembo di questo infinito assoluto azzurro
Basterebbe
Ad alleviare il fardello di questo tempo
E a spazzare via la melma di questo luogo.
Che l’anima scenda dalla sua cavalcatura
E cammini con passi di seta
Al mio fianco, mano nella mano, come due amici
Di vecchia data che condividono il pane secco
E un bicchiere di vino della vecchia vigna,
Per poter attraversare insieme questa strada.
Poi i nostri giorni seguiranno sentieri diversi:
Io al di là della natura, e lei,
Lei preferirà inerpicarsi su un’altra vetta.
Siamo lontani dal nostro destino come gli uccelli
Che fanno il nido negli anfratti delle statue,
O nella cappa del camino, o nelle tende
Dove riposava il principe andando a caccia.
Sulle mie macerie spunta verde l’ombra,
E il lupo sonnecchia sulla pelle della mia capra.
Sogna come me, come l’angelo,
Che la vita sia qui… non laggiù.
Quando si è assediati, il tempo diventa spazio
Pietrificato nella sua eternità
Quando si è assediati, lo spazio diventa tempo
Che ha fallito il suo ieri e il suo domani.
Questo martire mi assedia ogni volta che vedo spuntare un nuovo giorno
E mi chiede: Dov’eri? Annota sui dizionari
Tutte le parole che mi hai offerto
E libera i dormienti dal ronzio dell’eco.
Il martire mi spiega: Non ho cercato al di là della spianata
Le vergini dell’immortalità, perché amo la vita
Sulla terra, fra i pini e gli alberi di fico,
Ma era inaccessibile, così ho preso la mira
Con l’ultima cosa che mi appartiene: il sangue
Nel corpo dell’azzurro.
Il martire mi avverte: Non credere alle loro storie
Credi a me, padre, quando osservi la mia foto e chiedi piangendo:
Come hai potuto scambiare le nostre vite, figlio mio,
Perché mi hai preceduto? C’ero io, c’ero prima io!
Il martire non mi da tregua: mi sono solo spostato
Con i miei mobili consunti.
Ho posato una gazzella sul mio letto,
E una falce di luna sul mio dito,
Per alleviare la mia pena.
L’assedio continuerà, per convincerci a scegliere
Una schiavitù che non fa male,
In piena libertà!
Resistere significa: accertarsi della forza
Del cuore e dei testicoli, e del tuo male tenace:
Il male della speranza.
In quel che resta dell’alba, cammino verso il mio involucro esterno
In quel che resta della notte, ascolto il rumore dei passi rimbombare al mio interno
Saluto chi come me insegue
L’ebbrezza della luce, lo splendore della farfalla,
Nell’oscurità di questo tunnel.
Saluto chi beve con me dal mio bicchiere
Nelle tenebre di una notte che entrambi ci avvolge:
Saluto il mio spettro.
Per me i miei amici preparano sempre una festa
Da Dio, una sepoltura serena all’ombra delle querce
Un epitaffio inciso nel marmo del tempo
E sempre ai funerali li precedo correndo:
Chi è morto… chi?
La scrittura, un cucciolo che morde il nulla
La scrittura ferisce senza lasciar tracce di sangue.
Le nostre tazze di caffè. Gli uccelli, gli alberi verdi
Nell’ombra azzurrina, il sole che scivola di muro
In muro con balzi di gazzella
L’acqua delle nubi dalla forma illimitata - tutto quel che ci resta.
Il cielo. E altre cose dai ricordi sospesi
Rivelano che questo mattino è potente splendore,
E che noi siamo i convitati dell’eternità.
* Questa poesia è stata scritta nel 2002 da Mahmoud Darwish, il massimo poeta palestinese, morto un anno fa.
Non c’è tempo per il tempo.
Come chi s’innalza verso Dio,
Dimentichiamo il dolore.
Nulla qui riecheggia Omero.
I miti bussano alla nostra porta, se vogliono.
Nulla riecheggia Omero. Qui, un generale
Scava alla ricerca di uno stato addormentato
Sotto le rovine di una Troia che verrà.
Voi, ritti in piedi sulla soglia, entrate,
Bevete con noi il caffè arabo.
Sentirete che siete uomini come noi.
Voi, ritti in piedi sulla soglia delle case,
Uscite dalla nostra alba.
Ci sentiremo sicuri di essere
Uomini come voi!
Quando gli aerei scompaiono, spiccano il volo le colombe
Bianchissime, lavano la gota del cielo
Con ali libere, riprendono il bagliore e il possesso
Dell’etere e del gioco. In alto, ancora più in alto volano via
Le colombe bianchissime. Ah, se il cielo
Fosse vero… (mi ha detto un uomo correndo fra due bombe).
I cipressi, dietro i soldati, minareti che s’innalzano
Per non far crollare il cielo. Dietro la siepe di ferro
Pisciano i soldati - al riparo di un tank -
E la giornata autunnale conclude la sua traiettoria dorata
In una strada vasta come una chiesa dopo la messa domenicale…
(A un assassino) Se avessi contemplato il volto della vittima
E riflettuto, ti saresti ricordato di tua madre nella camera
A gas, avresti buttato via le ragioni del fucile
E avresti cambiato idea: non è così che si ritrova un’identità.
L’assedio è attesa,
Attesa su una scala inclinata
Dove più infuria l’uragano.
Soli, siamo soli a bere l’amaro calice,
Se non fosse per le visite dell’arcobaleno.
Abbiamo dei fratelli dietro quella spianata,
Fratelli buoni, che ci amano. Ci guardano e piangono.
Poi si dicono in segreto:
"Ah! Se quest’assedio venisse dichiarato…"
Lasciano la frase incompiuta:
"Non lasciateci soli, non abbandonateci".
Le nostre perdite: da due a otto martiri, giorno dopo giorno.
E dieci feriti.
E venti case.
E cinquanta ulivi…
Aggiungeteci la perdita intrinseca
Che sarà il poema, l’opera teatrale, la tela incompiuta.
Una donna ha detto alla nube: copri il mio amato
Perché ho le vesti grondanti del suo sangue.
Se non sei pioggia, amor mio
Sii albero
Colmo di fertilità, sii albero
Se non sei albero, amor mio
Sii pietra
Satura d’umidità, sii pietra
Se non sei pietra, amor mio
Sii luna
Nel sogno dell’amata, sii luna
(Così una donna che dava sepoltura al figlio)
O ronde della notte! Non siete stanche
Di spiare la luce nel nostro sale
E l’incandescenza della rosa nella nostra ferita,
Non siete stanche, ronde della notte?
Un lembo di questo infinito assoluto azzurro
Basterebbe
Ad alleviare il fardello di questo tempo
E a spazzare via la melma di questo luogo.
Che l’anima scenda dalla sua cavalcatura
E cammini con passi di seta
Al mio fianco, mano nella mano, come due amici
Di vecchia data che condividono il pane secco
E un bicchiere di vino della vecchia vigna,
Per poter attraversare insieme questa strada.
Poi i nostri giorni seguiranno sentieri diversi:
Io al di là della natura, e lei,
Lei preferirà inerpicarsi su un’altra vetta.
Siamo lontani dal nostro destino come gli uccelli
Che fanno il nido negli anfratti delle statue,
O nella cappa del camino, o nelle tende
Dove riposava il principe andando a caccia.
Sulle mie macerie spunta verde l’ombra,
E il lupo sonnecchia sulla pelle della mia capra.
Sogna come me, come l’angelo,
Che la vita sia qui… non laggiù.
Quando si è assediati, il tempo diventa spazio
Pietrificato nella sua eternità
Quando si è assediati, lo spazio diventa tempo
Che ha fallito il suo ieri e il suo domani.
Questo martire mi assedia ogni volta che vedo spuntare un nuovo giorno
E mi chiede: Dov’eri? Annota sui dizionari
Tutte le parole che mi hai offerto
E libera i dormienti dal ronzio dell’eco.
Il martire mi spiega: Non ho cercato al di là della spianata
Le vergini dell’immortalità, perché amo la vita
Sulla terra, fra i pini e gli alberi di fico,
Ma era inaccessibile, così ho preso la mira
Con l’ultima cosa che mi appartiene: il sangue
Nel corpo dell’azzurro.
Il martire mi avverte: Non credere alle loro storie
Credi a me, padre, quando osservi la mia foto e chiedi piangendo:
Come hai potuto scambiare le nostre vite, figlio mio,
Perché mi hai preceduto? C’ero io, c’ero prima io!
Il martire non mi da tregua: mi sono solo spostato
Con i miei mobili consunti.
Ho posato una gazzella sul mio letto,
E una falce di luna sul mio dito,
Per alleviare la mia pena.
L’assedio continuerà, per convincerci a scegliere
Una schiavitù che non fa male,
In piena libertà!
Resistere significa: accertarsi della forza
Del cuore e dei testicoli, e del tuo male tenace:
Il male della speranza.
In quel che resta dell’alba, cammino verso il mio involucro esterno
In quel che resta della notte, ascolto il rumore dei passi rimbombare al mio interno
Saluto chi come me insegue
L’ebbrezza della luce, lo splendore della farfalla,
Nell’oscurità di questo tunnel.
Saluto chi beve con me dal mio bicchiere
Nelle tenebre di una notte che entrambi ci avvolge:
Saluto il mio spettro.
Per me i miei amici preparano sempre una festa
Da Dio, una sepoltura serena all’ombra delle querce
Un epitaffio inciso nel marmo del tempo
E sempre ai funerali li precedo correndo:
Chi è morto… chi?
La scrittura, un cucciolo che morde il nulla
La scrittura ferisce senza lasciar tracce di sangue.
Le nostre tazze di caffè. Gli uccelli, gli alberi verdi
Nell’ombra azzurrina, il sole che scivola di muro
In muro con balzi di gazzella
L’acqua delle nubi dalla forma illimitata - tutto quel che ci resta.
Il cielo. E altre cose dai ricordi sospesi
Rivelano che questo mattino è potente splendore,
E che noi siamo i convitati dell’eternità.
* Questa poesia è stata scritta nel 2002 da Mahmoud Darwish, il massimo poeta palestinese, morto un anno fa.
mercoledì 14 gennaio 2009
Accademia di Belle Arti
FIRENZE- L’Accademia di Belle Arti, la scuola voluta nel 1784 dal granduca Pietro Leopoldo, la prima pubblica in Europa, nella capitale del Rinascimento carica di prestigio di geni universali come Leonardo e Michelangelo, in questi giorni, ai turisti e ai cittadini, si mostra “in catene”: nel chiostro statue imbavagliate, cieche e incatenate, ragnatele di spago e lo striscione “Studenti incazzati” all’entrata.
Infatti da dicembre un'Assemblea Permanente di studenti ha occupato il Cenacolo dell’Accademia e continuerà la protesta finché non ci sarà un accordo con la direzione e la presidenza. “Abbiamo occupato simbolicamente soltanto il Cenacolo- spiega Alex, uno studente che si dichiara membro dell’Assemblea Permanente- perché non volevamo bloccare l’attività didattica”.
Intanto, nel Cenacolo, continuano le assemblee degli studenti e si svolgono i vari eventi culturali organizzati per sensibilizzare i cittadini sui problemi dell’Accademia e coinvolgere un maggior numero di studenti. I motivi della protesta sono molti: dalla situazione nazionale che riguarda la modifica dei corsi dell'Afam (istituti di Alta Formazione Artistica e Musicale) della legge 508/99, alle più peculiari condizioni economiche e formative della stessa Accademia di Firenze.
“La nostra protesta- puntualizza Gaetano, un altro studente dell’Assemblea Permanente- vuole portare avanti un lavoro che da tempo è stato cominciato da tutte le Accademie italiane per una vera critica a quelle che sono le riforme accademiche. Ci opponiamo a tutte le riforme inadeguate e alle leggi confuse e sbrigative riguardanti temi che invece meritano di approfonditi tavoli di intervento condivisi da studenti e professori”.
Gli studenti hanno preparato, in questi giorni, un lungo elenco di proposte concrete che saranno presentate alla dirigenza e presidenza, domani, giovedì , nella riunione del consiglio accademico. Intanto fervono i preparativi in vista dell’importante appuntamento del 23, 24 e 25 Gennaio 2009 in cui a Firenze si riuniranno tutte le consulte e tutti gli studenti delle Accademie di Belle Arti italiane. “A queste tre giornate- sottolineano gli studenti- sono stati invitati politici e rappresentanti dei sindacati per un confronto diretto sulle tematiche di equipollenza dei diplomi e la validità dei percorsi triennali. Questo conferma ulteriormente la serietà del nostro agire e delle nostre azioni”.
venerdì 9 gennaio 2009
La preghiera per i bambini
Ecco alcuni brani della preghiera
ebraica per i bambini di Gaza
pubblicata sul sito del quotidiano israeliano Haaretz.
“Se mai c’è stato un tempo per
pregare, è questo. Signore, tu che
fai eccezioni, che noi chiamiamo
miracoli, fai un’eccezione per i
bambini di Gaza. Proteggili dai
nostri e dai loro. Allah, che noi
chiamiamo Elohim, manda a quei
bambini i tuoi angeli.
Risparmiali”
mercoledì 7 gennaio 2009
Coro di bambini palestinesi 'Al Aqsa' Kufia, canto per la Palestina
Sogno dei gigli bianchi
Voglio un cuore buono
e non voglio il fucile
Voglio un giorno intero di sole
e non un attimo di una folle vittoria razzista
Voglio un giorno intero di sole
e non strumenti di guerra
Le mie non sono lacrime di paura
sono lacrime per la mia terra
Sono nato per il sole che sorge
non per quello che tramonta.
Mahmud Darwish
lunedì 5 gennaio 2009
DOVE TERMINA
Dove termina l’arcobaleno
deve esserci un luogo, fratello,
dove si potrà cantare ogni genere di canzoni,
e noi canteremo insieme, fratello,
tu ed io, anche se tu sei bianco e io non lo sono,
sarà una canzone triste, fratello,
perché non sappiamo come fa,
ed è difficile imparare,
ma non possiamo riuscirci, fratello, tu ed io.
Non esiste una canzone nera.
Non esiste una canzone bianca.
Esiste solo musica, fratello.
Ed è musica quella che canteremo
Dove termina l’arcobaleno.
Richard Rive (“Il fiore della libertà”- Newton)
sabato 3 gennaio 2009
IMAGINE - Una canzone sempre attuale per un 2009 di pace
Imagine there's no heaven
It's easy if you try
No hell below us
Above us only sky
Imagine all the people
Living for today...
Imagine there's no countries
It isn't hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion too
Imagine all the people
Living life in peace...
You may say I'm a dreamer
But I'm not the only one
I hope someday you'll join us
And the world will be as one
Imagine no possessions
I wonder if you can
No need for greed or hunger
A brotherhood of man
Imagine all the people
Sharing all the world...
You may say I'm a dreamer
But I'm not the only one
I hope someday you'll join us
And the world will live as one
John Lennon
Testo della canzone (traduzione italiana)
Immagina non ci sia il Paradiso
prova, è facile
Nessun Inferno sotto i piedi
sopra di noi solo il Cielo
Immagina che tutta la gente
viva per il presente.
Immagina un mondo senza nazioni
non è difficile
nulla per cui uccidere e morire
e nessuna religione
Immagina che tutta la gente
viva la propria vita in pace.
Puoi dire che sono un sognatore
ma non sono il solo
Spero che un giorno ti unirai a noi
e che il mondo possa essere unito
Immagina nessuna proprietà
chissà se ci riesci
nessun bisogno di avidità o fame
un’unica grande famiglia dell’umanità.
Immagina che tutta la gente
condivida il mondo intero.
Puoi dire che sono un sognatore
ma non sono il solo
Spero che un giorno ti unirai a noi
e che il mondo possa essere unito
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